MARTINA FIGLIA RIBELLE

Martina era una ragazzina di nove anni, figlia di due professionisti.

Il padre, un abile avvocato che in pochi anni aveva incrementato grazie alla sua indiscutibile abilità, un numero sorprendente di clienti e aveva aperto lo studio in centro a Milano.

Clotilde, la madre, anch’essa avvocato, si era specializzata in pratiche internazionali che prevedevano il conflitto di situazioni con clienti di Stati diversi come, ad esempio, aziende in procinto di vendere i propri prodotti all’estero e quindi conoscere le normative di quei Paesi, adozioni, matrimoni…

La loro vita era scandita da mille impegni ed il lavoro li assorbiva completamente. I due avvocati, infatti, grazie allo staff di impiegati e giovanissimi tirocinanti, riuscivano con un assiduo lavoro a gestire tutta quella clientela.

Martina che viveva con i genitori in un attico in pieno Centro della grande città era come si può ben capire era affidata per gran parte della giornata a baby setter, insegnanti sportive, linguistiche, colf… e “chi più ne ha più ne metta”.

Se nei primi anni di vita tutto scorreva bene e Martina coccolata da tante figure sia femminili che maschili non sembrava risentirne i problemi si fecero avanti con l’adolescenza.

La ragazza, stanca di non avere delle figure genitoriali vicine per risolvere i suoi problemi legati anche all’età, ma quello di doversi rivolgere a persone quasi sconosciute o perlomeno non vicine sentimentalmente la resero irascibile, con un carattere perfido, perverso insomma orribile.

I genitori presi da quel vortice di vita frenetica e non curante delle esigenze della figlia, spendevano il loro poco tempo non per lei ma per frequentare l’alta società intrattenendosi in feste e cene.

L’apporto che Clotilde e Roberto davano a Martina era quello di ripagarla non con delle attenzioni ed amore, ma con regali costosissimi.

Martina crebbe per alcuni anni non rispettando niente e nessuno ed inimicandosi chiunque le stesse accanto.

La giovane era molto intelligente e l’unica cosa che le riuscisse in quegli anni tanto scapestrati era lo studio.

Un bruttissimo giorno, inforcata la sua moto Kawasaki Ninja H2R definita da tutti super veloce, si dirigeva a Torino e ad una velocità ben sostenuta ebbe un incidente con un pulmino di ragazze della prima liceo scientifico di Collegno.

Il pulmino sbandò e finì ribaltandosi in una scarpata. Le ragazze ferite con contusioni, ossa rotte, commozioni celebrali furono soccorse e portate al vicino Ospedale.

Anche Martina benché portasse un casco e una tuta supertecnologica ebbe diverse fratture e caricata anch’essa in ambulanza fu ricoverata con le disgraziate ragazze in ORTOPEDIA a Collegno.

Solo in quell’occasione Martina si rese conto che cosa avevano causato le sue intemperanze e il suo modo d’agire.

Furono mesi complessi di sofferenza e di cure riabilitative. Solidarizzò con le ragazze contuse del pulmino che risarcì, ma al contempo si rese conto che il suo comportamento nei confronti del prossimo doveva assolutamente cambiare.

Quale AMORE poteva pretendere e quale rispetto poteva aspettarsi se in primis non fosse stata lei a professarlo?

Ora poteva definirsi una ragazza disabile perché nella sua esistenza era priva di cuore e i suoi cattivi atteggiamenti potevano paragonarla ad una giovane con handicap.

L’aver procurato della sofferenza ad altre giovini vite l’avevano fatta riflettere. Sicuramente gli anni trascorsi in salute, nonostante le varie intemperanze, furono anni di benessere e di godimento ma solo con la malattia si rese conto del vero senso della vita e di capirne il vero significato.

Da quel momento in poi Martina cambiò definitivamente, si laureò e si prodigò per aiutare e sostenere tanti ragazzi con problematiche legate a genitori-figli.

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