Fiabe – 6 Una Strega Malefica

Fiabe

Nelle colline toscane, vi era un piccolo borgo con vicoli e stradine che s’intrecciavano dando seguito a salite e discese con gradini e piccoli ponti.

Tutte le case erano di pietra e sassi con terrazze e terrazzini ricolmi di fiori coloratissimi, suscitavano ai passanti ammirazione.

I paesani erano orgogliosissimi della cura che ciascuno metteva per abbellire i propri balconi al fine di essere apprezzato dai molti turisti, che lo visitavano anche se in questa occasione per un’attrazione del tutto particolare e che aveva richiamato molti curiosi e che si rimpallava di bocca in bocca.

Dalla piazza principale, nascosta da una costruzione di vetro e sassi vi era una teleferica che conduceva in alto a monte Baldo dove s’ergeva un grande palazzo quasi immerso nelle nuvole.

L’ingresso alla teleferica per visitare il palazzo, era riservata ad uno stretto numero di fate e streghe o in occasioni speciali veniva aperto ad un pubblico ristretto.

Nel palazzo vivevano diverse famiglie di fate ed inoltre in una parte del caseggiato era destinato ad una Scuola e a dei laboratori.

La scuola era nota per la sua fama di essere la più rigida per l’insegnamento e la preparazione di fate dedite solo al Bene.

Un triste mattino una Strega invidiosa della notorietà di queste fate e della scuola prese le fattezze di una ragazzina dagli occhi azzurri e dai dolci lineamenti e si introdusse a distruggere la pace di questo borgo e delle fate che qui dimoravano.

GENOVEFFA era una orribile vecchia strega che in tutta sua esistenza aveva perpetuato crimini ed aveva con i suoi intrugli avvelenato uomini donne e bambini.

Il suo aspetto era davvero terrificante. Pelle simile od un incrocio tra serpente e coccodrillo tendente al verde, occhi verdi fosforescenti, viso rugoso, mani simili ad artigli, capelli lunghi e grigi.

Genoveffa era sempre accompagnata dal suo fedelissimo e maligno GOBLIN che l’aiutava nei suoi misfatti o a rapire bambini.

La sua cattiveria era conosciuta in tutto il mondo e molti maghi e fate le avevano dato la caccia per sopprimerla ma nessuno c’era riuscito.

Il suo punto debole e vulnerabile era quello di riuscire a trafiggerla sotto l’ascella destra.

Genoveffa, entrò in paese come studentessa universitaria e riuscì ad affittare un piccolo appartamento; in seguito si propose alle genti del borgo come baby setter.

Nessuno e dico nessuno poteva pensare che quella ragazza mite dalla voce chiara e trasparente potesse racchiudere una personalità così cattiva e narcisista come quella di una strega così malefica.

Genoveffa come ho detto, aveva trovato lavoro come baby sitter presso una famiglia del luogo che aveva quattro bambini figli di una coppia che aveva il forno e la rivendita di pane nel centro del paese.

I primi giorni di lavoro della ragazza furono sicuramente positivi; ella si dimostrò affabile e premurosa, disponibile a intrattenere i bambini con giochi ed eseguendo con loro i compiti scolastici con i due più grandicelli.

Passò circa un mese e Genoveffa mise in atto il suo piano diabolico.

Come ogni mattina si recò nell’abitazione del Fornaio per accudire i ragazzi che in quel giorno erano a casa, perché asilo e scuola erano chiusi per dei lavori nelle aule.

Supportata da quell’occasione, decise di portare i bambini ad un picnic.

Entrati in un boschetto legò i bambini a degli alberi.

Il suo intento non era quello di far del male a quei bambini, ma assicurarsi che tutti i bambini fino ai 15 anni fossero alla sua mercé.

Genoveffa accese un fuoco e dalla pentola che bolliva un intruglio simile ad una colla di color giallo ocra, fece intingere la sua bacchetta per poi dire queste parole:

“Diavolo vieni a me! Portami i ragazzi all’istante e pietra saranno!”

Dopo qualche attimo tutti i bimbi terrorizzati e piangenti, di quel borgo, si trovarono in quel bosco al cospetto della strega.

La Stregaccia, prese un recipiente e con una grande cannuccia, soffiò quella maleodorante colla gialla su ogni giovane e man mano che eseguiva questa operazione, il ragazzo spariva.

Ci vollero pochi minuti e nel bosco non v’era più nessun bambino.

Alcuni istanti più tardi i paesani iniziarono a mettersi le mani nei capelli e le madri riunite nella piazza piangevano e si disperavano.

Sui muri delle case del borgo erano apparsi dei murales, raffiguranti i figli dei paesani.

La situazione era davvero drammatica e la voce dei bambini intrappolati nei murales, si sparse in breve tempo anche al di fuori del paese.

Curiosi e turisti vennero a flotte per osservare quei dipinti a volte incuranti del dolore della pena dei genitori di quei ragazzi.

La notizia venne pubblicata anche sui giornali e Fate e Maghi di tutto il mondo si misero all’opera per trovare la soluzione a questo dramma e per dare nuovamente la caccia alla temibile strega.

Nel Palazzo delle fate fu indetta un’assemblea e preside, direttrice, insegnanti ed alunne furono precettate adoperarsi ad annullare il maleficio inflitto in quella comunità.

Furono giorni e settimane di gran fermento; nei laboratori pozioni ed intrugli sobbollivano nei vari alambicchi creando una nebbiolina che invase ogni stanza del palazzo.

Fate e maghi di tutto il mondo si confrontavano per trovare la soluzione a quell’annoso problema dei ragazzi che se non si fosse trovato l’antidoto per farli uscire da quei muri sarebbero rimasti lì per cento anni.

Dal Polo Nord viaggiando sopra ad una nuvola con la sua fedele compagna, una tigre bianca dai mille poteri, giunse al borgo e si presentò alla direttrice del palazzo delle fate.

“Buongiorno, disse la ragazza, ZAHRA è il mio nome e provengo da una stirpe di fate. La mia famiglia è sempre vissuta al Polo Nord e le mie sorelle e fratelli sono tutti fate e maghi ormai sparsi in varie città. Da generazioni i nostri poteri si sempre trasmessi ed hanno assunto maggiore forza perché dediti al bene ed io ho poteri straordinari grazie all’aiuto della mia tigre Samba datami in Paradiso. Samba infatti ha poteri soprannaturali, per molti ed inspiegabili per la scienza.

Se avrò l’autorizzazione, io desidero fare un tentativo che metta fine a questo maleficio e se questo andrà a buon fine io e Samba ci occuperemo anche di Genoveffa”.

La direttrice convocò seduta stante, un’assemblea con tutti i genitori dei ragazzi per chiedere l’autorizzazione a procedere e dare mandato alla fata di annullare l’incantesimo.

I genitori disperati per i loro figli diedero l’incarico a Zahra e convocata all’assemblea il portavoce dei genitori le chiese:

“Tu sai il nostro stato d’animo, siamo nelle tue mani se hai bisogno di qual cosa in particolare faccelo sapere e noi ti assicuriamo che faremo il possibile per procurarti ciò che ti serve e per agevolarti in questa missione.”

Zahra ascoltò il portavoce e disse:

“Domani all’alba un genitore, dovrà mettersi davanti al murales del proprio figlio e dovete procurarmi una piscina abbastanza grande da mettere in piazza piena d’acqua. I paesani potranno rimanere a vedere dietro le transenne che io disporrò ma in piazza, ci dovrà essere il massimo silenzio e nessun intralcio.”

L’indomani, tutto era pronto e l’alba lasciava posto all’Aurora tingendo il cielo con la sua apparizione di una luce ramata.

Zahra bellissima con un vestito bianco con le spalle nude e con fiori dalle tinte tenui che le inanellavano i capelli con piccoli nastri era seduta in un masso di pietra con a fianco Samba.

La fata s’alzò diede uno sguardo all’orologio del campanile ed improvvisamente non sapendo la provenienza iniziò una musica che si spargeva nell’aere molto melodiosa e leggera che induceva al ballo.

Zahra presa da questa musica si lanciò in un ballo con salti e piroette e poi volò vicino ai murales, si pose davanti e baciò la fronte o i capelli di ciascuno.

La fata chiamò Samba che volò anch’essa vicino alla fata e questa le ordinò:

“Samba portami la loro essenza e la loro energia”

Pochi istanti dopo la fata si posizionò vicino alla vasca ed attese Samba.

La tigre riuscì ad intrappolare tra le zampe una forte energia che luccicava di una luce blu e bianca e presa questa scia luminosa, la portava alla fata che come se l’abbracciasse poneva l’energia nell’acqua.

Miracolosamente con questa operazione si materializzava il ragazzo imprigionato che riprendeva vita dopo aver preso una grande boccata d’aria.

Lo stupore delle persone presenti era immaginabile e man mano che la fata immerse nell’acqua tutte quelle essenze vitali, tutti i ragazzi furono liberi e poterono riabbracciare i propri genitori.

Zahra fu acclamata ed osannata ma lei bloccò l’entusiasmo della gente e disse:

“Non ho ancora finito il mio compito. Ora mi dedicherò a Genoveffa ma prima devo salire in paradiso per avere nuovi poteri e terminare ciò che ho promesso.”

Zahra salì sulla nuvola con Samba e si diressero in Paradiso.

Al loro arrivo alcune anime oltrepassarono la porta poi venne il loro turno. Samba ricevette nuovi poteri.

La Fata e Samba a cavallo entrarono nel castello e in un attimo furono nei suoi sotterranei dove trovarono Genoveffa.

Samba le saltò addosso e la strega impaurita alzo le braccia. Fu in quel preciso momento che Zahra con un pugnale avvelenato trafisse sotto l’ascella la strega.

La strega prese fuoco e morì.

Zahra salutò i paesani ma soprattutto diede un talismano portafortuna a ciascun ragazzo ed abbracciò i genitori.

Come era arrivata così la fata se ne andò sorretta da una nuvola fino al Polo Nord.

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