Fiabe: IL GIOCATTOLAIO
Fiabe
In un minuscolo villaggio della Sicilia, viveva Lampo un vecchio giocattolaio.
Artigiano, da sempre, sin da bambino aveva imparato l’arte di costruire giocattoli tramandatagli dal padre e grazie agli studi di ingegneria costruiva giocattoli anche sofisticati con meccanismi, cip o schede elettroniche al passo con i tempi odierni.
Lampo era conosciutissimo in tutta la regione per la sua maestria e per la sua fabbrica con annesso negozio. Fisicamente si era affascianti ed attratti da un omone alto quasi due metri, con un viso pasciuto costellato da barba e baffi bianchi.
Vestiva con abiti luccicanti e cappelli intonati alla giacca o dalle forme bizzarre.
Era un uomo estremamente buono e generoso ma il suo aspetto ed un gran vocione, alle volte incuteva soggezione.
Amato dai suoi collaboratori nella fabbrica ora aveva predisposto un grande negozio ed altrettanti in tutta la regione, per esporre i suoi giocattoli nuovi e vecchi, e per regalare momenti di felicità anche ai bambini poveri che non potevano permettersi giochi costosi.
I suoi Megastore di giocattoli, erano strutturati non solo per contenere i vari giochi, ma per avere ampi spazi dove giovani volontari, dedicavano qualche ora del loro tempo a giocare con bambini più sfortunati e poveri.
Lampo era diventato un’istituzione per quel piccolo paese dove viveva e spesso il pomeriggio dedicava qualche ora del suo tempo per leggere fiabe ai ragazzi, insegnare l’arte della giocoleria o del fabbricare giocattoli.
Ogni mattina, Celeste commessa nel negozio di giocattoli, era addetta ad aprire il negozio e a mettere in funzione i vari meccanismi di treni, robot, animali di peluche ed altri giocattoli.
Tutto sembrava prendere vita ed i bambini si rivolgevano a Celeste per sapere le varie funzioni dei giochi più complessi, dei robot o dei droni.
Piccoli e più grandicelli affascinati da quel negozio, dove vi era anche la possibilità di accomodarsi su dei meravigliosi cuscini di piuma d’oca e farsi raccontare alcune fiabe che li trasportavano in mondi fantastici, erano pronti a pazientare il loro turno affinché, quella commessa così dolce li intratteneva con la sua voce suadente.
Quei birbantelli che tante mamme e papà che potevano lasciare in custodia per qualche oretta come per magia, entrati in quel negozio erano rapiti e diventavano calmi e mansueti.
Una gelida mattina, la brina aveva ricoperto ogni cosa e il paese appariva davvero surreale.
Poche persone camminavano lungo i marciapiedi imbiancati e ghiacciati; solo una donna con vestiti sdruciti spinse il suo carretto con poche cose nei pressi della chiesa e fece scendere il suo figliolo.
Questi era un bambino di forse cinque, sei anni che con aria scanzonata iniziò a correre per far volare i colombi che cercavano un po’ di mangime o qualche avanzo di pane nelle fessure del ciottolato.
La madre gli raccomandò di non allontanarsi troppo e nel frattempo, si sedette sui gradini della chiesa a chiedere l’elemosina.
Il bambino, dopo aver corso in lungo e in largo la piazza, s’accorse del negozio di giocattoli.
Attirato come l’ape al polline, si proiettò davanti la vetrina e con il naso e le mani aperte appiccicate al vetro pareva estasiato.
Era da poco spuntato un pallidissimo sole e Valentino, così si chiamava il ragazzo, fermo immobile alla vetrata, non s’accorse che un mantello lo sfiorasse.
Solo quando una voce melodiosa pronunciò il suo nome si destò.
Giratosi di scatto, vide Fata Azzurra che lo salutò rassicurandolo e spiegandogli chi era.
Indossava con un lungo vestito azzurro polvere ed un mantello di ermellino bianco; lunghi capelli biondi, le cingevano i fianchi ed il viso dalla carnagione lattea, era ravvivato da due immensi occhi azzurri come il cielo.
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