La Donna Velata -Racconto giallo

 

Il caos, generato da un traffico impazzito in una giornata assolata, calda e umida era la fotografia di cosa stesse capitando nell’estate del 2023, a Padova.

Eravamo in pieno luglio e l’orologio di Pazza dei Signori segnava le otto del mattino.

In seguito ai lavori di restauro nel 2010, hanno permesso di riaprire la Torre in piazza dei Signori, a Padova.

L’Orologio astrario, realizzato nel 1344 da Jacopo Dondi da Chioggia poi detto “dell’Orologio”, è così tornato a funzionare.

Quella mattina benché fosse relativamente presto, la temperatura era già elevata ed il grado d’umidità ampliava la percezione; forse durante la notte i gradi non erano poi scesi, di molto, rendendo la città davvero soffocante.

Molte persone sperando di recarsi al lavoro usufruendo del condizionatore dell’auto avevano deciso di usare la propria autovettura, creando così ingorghi nelle strade.

Corso Milano, si presentava completamente invaso da auto in più file completamente ferme e da automobilisti indisciplinati che di tanto in tanto suonavano il clacson con la speranza, che le vetture iniziassero a muoversi.

Andrea in sella alla sua bicicletta, era un vigile mandato dalla centrale operativa a regolare il traffico e ad un tamponamento accorso proprio in quel corso.

Andrea percorreva Via S. Pietro quando dalla finestra di un ultimo piano di un edificio si sentirono delle urla ad indicare che qualcosa o qualcuno si trovasse in seria difficoltà.

Andrea d’impeto frenò e depositata la bici, dopo aver messo il lucchetto, si diresse verso il portone dell’edificio.

Il palazzo in questione, era datato e l’ascensore quasi centenario, era in ferro battuto e mogano sullo stile belle époque; ma funzionante.

Andrea senza indugiare vi entrò e schiacciò il terzo ed ultimo piano.

Giunto al terzo piano, dopo aver richiuso le porte in ferro, s’accorse che vi era ancora un piano al di sopra, raggiungibile da un breve rampa di scale.

Andrea preso ormai dall’eccitazione, fece quei gradini, due alla volta e si trovò davanti ad una porta blindata semiaperta; vi entrò scontrandosi con la portinaia dello stabile e s’accorse immediatamente che nel salone giaceva a terra una giovane donna completamente ricoperta da un velo di tulle che le velava anche il viso; sangue e vari schizzi del medesimo, avevano formato una vasta chiazza sotto al suo corpo ed erano sparsi sul tappeto dove giaceva la sventurata.

Senza inquinare le prove, Andrea accertatosi che ormai l’esecutore di quel delitto si fosse dileguato, chiamò il 112 descrivendo la situazione e la centrale inviò la volante sul luogo.

I primi ad arrivare furono gli agenti di polizia della volante.

Gli agenti, arrivati nella mansarda, immediatamente procedettero alla bonifica.

In prima istanza, appurato il decesso della ragazza; fu rilevata la sua posizione, ma non si trovarono gli oggetti (coltello, pugnale e pistola) con cui era stata colpita la vittima e si accertò che si trattava d’omicidio.

Solo allora gli agenti presenti, “congelarono” la scena del crimine cinturando la stanza affinché tutti gli estranei non vi potessero accedere.

Attendendo l’arrivo della scientifica ed indossati dei calzari per non lasciare impronte, gli agenti scattarono foto e video che avrebbero poi consegnato ai colleghi.

La scientifica, composta da veri professionisti, fece tutti i rilievi, tutto venne analizzato, scendendo nel particolare, con l’ispezione di cestini, cassonetti, cassetti… anche nelle altre stanze, non tralasciando nulla. Ogni traccia fisica venne repertata e qualsiasi oggetto che permetteva di ricostruire la scena del crimine venne raccolto.

La portinaia fornì la sua testimonianza essendo l’unica persona presente al momento dell’omicidio.

Come in altre situazioni analoghe, venne utilizzato il “luminol” che con la sua caratteristica di essere chemiluminescente (dopo una determinata reazione chimica emette luce bluastra) poteva individuare macchie nascoste di sangue e identificare il DNA di un presunto indiziato.

Vennero rintracciati anche alcuni capelli che sottoposti al microscopio e mostrando la morfologia (fusto, forma, colore) e attraverso la sua analisi poteva fornire un presunto avvelenamento o sull’assunzione di droghe del proprietario del capello.

Vennero poi rilevate tracce di sangue incompatibili con il posizionamento del corpo della donna velata e quindi da appurare se fossero da addebitare alla vittima o ad altri e che non fosse frutto di depistaggio dall’autore/e del reato.

Il corpo della vittima, presentava ad una primaria disamina, delle lacerazioni inferte da un coltello o pugnale e due fori d’arma da fuoco; la cosa incomprensibile di questo delitto era che sul petto era stato appoggiato un crocefisso di legno oltre che ad essere stata coperta dal velo.

A terra vicino al cadavere, si trovò una sciarpa di seta intrisa di profumo che molto probabilmente indossava la vittima e che nella lotta cadde a terra.

Visto che il reo, non era lampante; la gestione del caso d’omicidio doveva essere passato alla sezione della squadra mobile.

Opportunamente avvisato sin dalla prima volante, giunse il magistrato che fu dettagliatamente informato dei fatti e delle prime valutazioni acquisite.

Ferri, medico legale, constatò in base alla temperatura corporea l’ora della morte mentre, altre valutazioni, le rimandava sicuramente dopo l’autopsia.

Venne decisa la rimozione del corpo non ancora identificato; in quanto la vittima si trovava in quell’appartamento per una visita temporanea ad un’amica che in quel momento si trovava all’estero e che sarebbe rientrata il giorno successivo.

Queste informazioni, erano state date da Daniela l’anziana portinaia dello stabile e riferite alle forze dell’ordine.

Interrogata, Daniela raccontò che al momento delle grida, ebbe delle esitazioni sul da farsi; trascorso poco tempo, uscì dalla guardiola e qualche istante più tardi, vide precipitarsi dalle scale una figura di donna, atletica, vestita di nero, che indossava una tuta nera di pelle, calzari da motociclista, casco integrale e sulla mano destra un vistoso tatuaggio rappresentante un uccello; forse un gabbiano in volo.

La donna, descritta dalla portinaia, agilmente si precipitò all’uscita e si dileguò con una moto di alta cilindrata guidata da uno sconosciuto anch’essi irriconoscibile, forse il suo basista, che l’attendeva fuori dello stabile.

Daniela fu incalzata a ricordare altri particolari, ed ella menzionò che la donna nello scendere le scale precipitosamente si teneva un braccio, come se fosse ferita o avesse dei problemi.

I poliziotti dovettero desistere a porre ulteriori domande di chiarimento a Daniela, in quanto affermò di non rammentare nulla oltre a ciò ed era particolarmente scossa.

La squadra mobile capitanata da Christy ricevette dalla scientifica, tutti i dispositivi elettronici presenti sulla scena del crimine e fu dato l’ordine di reperire i filmati eventualmente ripresi, dalle telecamere presenti sulla via affinché potessero aggiungere qualcosa di utile alle indagini; fossero queste del comune o di privati cittadini.

La scena del crimine ormai delineata e acquisito il materiale (foto, reperti…), impronte…il Commissario Nardone si fece affiancare da Sabrina, criminologa profiler, nota alle forze dell’ordine per la sua professionalità ed acutezza.

Il ruolo di Sabrina, era quello di risolvere i crimini così detti violenti, come l’omicidio, la violenza sessuale o l’incendio doloso.

Lei, come criminologa profiler, laureata in giurisprudenza e medicina; successivamente specializzatasi in criminologia, chiamata da Nardone, doveva trovare un possibile profilo psico-comportamentale del criminale che aveva compiuto il delitto e grazie all’analisi della scena del crimine e lo studio della vittima e delle sue potenziali relazioni con l’aggressore; stabilire dei legami non correlati in precedenza.

Sabrina oltre ad avere una mente “fuori del comune” intelligentissima, era davvero una donna molto affascinante e bella.

Fisico di una bellezza forse assoluta rispondeva con:

  • corpo magro ma non troppo
  • muscoli tonici
  • pancia piatta
  • senza maniglie dell’amore
  • cosce toniche e snelle
  • i glutei alti e sodi
  • assenza di cellulite in un’altezza di m.1,78.

Nonostante questi attributi fisici, Sabrina era una ragazza con “i piedi per terra” non spocchiosa, che figlia di due operai, s’era costruita a suon di sacrifici, una carriera pagandosi gli studi con mille lavoretti disparati tra loro e studiando a capofitto, usufruì di borse di studio.

Conseguì la laurea ed in seguito si avvalse di master e tanto lavoro nel campo.

Il bagaglio personale e culturale di Sabrina, grazie a queste esperienze era cresciuto notevolmente formandola nella donna di oggi; stimata ed apprezzata nella sua professione.

Nardone, aveva il dubbio che questo omicidio avesse delle attinenze ad un precedente delitto verificatesi una decina d’anni prima e voleva sciogliere ogni dubbio avvalendosi dell’aiuto di Sabrina.

La criminologa profiler, grazie al modus operandi permise di capire le caratteristiche di personalità e socio-demografiche dell’assassino e comparando le info comportamentali tratte dalla scena del crimine, con le modalità d’azione attribuite a criminali identificati in precedenza, per analogia, poteva acquisire notizie sul sospetto attualmente sconosciuto.

Sebbene in un caso di delitto pari a quello descritto, definito seriale e soggetto a diverse problematiche tenute conto nell’investigazione si capì che si trattasse di omicidi ripetuti negli anni, in seguito ai movimenti dell’assassino e quelli delle vittime.

Il serial Killer aveva fornito in quel frangente, in modo anonimo alla polizia, di aver compiuto una serie di omicidi anche se in forma davvero bizzarra.

In questo caso si fece molta attenzione e Sabrina dedicò molto tempo prima di venirne a capo; perché alla donna era stato posto un crocifisso ed era stata velata?

Che cosa avrebbe spinto l’assassina/o a coprire il volto e a porre il crocefisso sul petto?

Quale indizio voleva comunicarci?

Era forse una sfida lanciata per depistare i RIS?

Sicuramente chi aveva commesso il crimine voleva giocare con le forze dell’Ordine e con coloro che volevano dipanare la matassa e prendere il fautore del delitto.

Gli oggetti posti nella scena del crimine avevano una loro valenza e non erano nient’altro che una serie di indovinelli da decifrare al fine di svelare il mandante.

Sabrina iniziò a scavare nella vita della vittima sperando di trovare degli appigli dove poter trarre informazioni e grazie anche all’autopsia confidava che quel corpo potesse riferire aspetti inediti.

Si accertò che la morte della donna, era avvenuta per gli spari e non per le ferite inferte con un pugnale.

Le lacerazioni erano sufficientemente superficiali ad indicare il voler far soffrire la vittima.

La domanda di Sabrina e degli inquirenti era perché le era stato somministrato un potente anestetico?

Gli esami e l’autopsia avevano determinato che il farmaco iniettato aveva anestetizzato alcune parti del corpo come le gambe; mentre altre no.

L’autore del delitto non era certo uno sprovveduto e sicuramente conosceva l’uso di alcuni farmaci e quindi aveva informazioni in campo medico.

Sabrina appurò la provenienza del crocifisso e riuscì a determinare dove era stato acquistato il velo.

Il crocefisso analizzato era con un corpo in porcellana ed è attaccato ad una semplice croce di legno, nella croce è inciso Inri, i piedi sono ancora uno accanto all’altro, il che indica una copia molto antica, inizi del XIX secolo, fine del XVIII secolo. Firmato e numerato, di provenienza tedesca. Croce misura 54 x 33 cm, corpo 31 x 28 cm. Proviene da una vasta collezione di appassionati ed acquistato successivamente da un medico psichiatra.

Che dopo qualche anno se ne era disfatto vendendolo ad un mercatino.

Il velo proveniva da un lotto di tessuti acquistato da una commerciante, ad una svendita per un fallimento e venduto al mercato di Prato della Valle a Padova.

I nuovi elementi acquisiti, misero in moto ulteriore ricerche sino a giungere ad identificare chi aveva acquistato il crocefisso posto sopra il cadavere della donna che ora identificata aveva il nome di Guendalina Pichler residente a Bolzano.

Ora alcuni fatti dimostravano che si stava percorrendo la strada giusta per l’identificazione del Killer.

Sabrina ed il capo dei RIS appurarono che l’omicida non s’era fatta curare in ospedale per le ferite al braccio ma scavando e avvalendosi di alcuni informatori legati alle forze dell’ordine, conobbero la sua identità grazie ad un colloquio con un medico in pensione che l’aveva curata perché minacciato.

Il medico dopo lunghe insistenze, fece il nome di quella ragazza:

Adelina Pichler” sorella di Guendalina.

Il capo dei RIS immediatamente si fece preparare un mandato di perquisizione per la casa delle sorelle di Bolzano.

Nell’abitazione Pichler si presentò Guendalina la quale dichiarò di non vedere la sorella da lungo tempo e che i loro rapporti erano cessati circa sei mesi prima per delle incomprensioni.

La casa venne perquisita sino ad una cantina, dove venne rilevata una porta, nascosta da un armadio, chiusa da un grosso lucchetto.

Interpellata Guendalina, le venne chiesto di aprire il lucchetto ma questa, negò di possedere le chiavi e di non conoscere la natura di quella porta e cosa vi fosse aldilà.

Nardone, presente alla perquisizione, diede l’ordine di forzare con ogni mezzo il lucchetto e di aprire quella porta.

La porta fu aperta, tranciando il lucchetto e con sorpresa venne appurato che celato vi era un bunker ben attrezzato con ogni confort per sopravvivere all’interno.

Naturalmente nel bunker vi trovarono Adelina che non fece opposizione all’arresto.

Anche Guendalina venne arrestata ed entrambe furono condotte in commissariato.

Sabrina presente all’interrogatorio delle due sorelle diede degli spunti e grazie a delle domande ad “hoc” con il commissario riuscirono ad estrapolare la dinamica non solo di quel delitto ma anche di uno precedente.

Adelina benché fosse stata medicata riportava sul braccio un’infezione che si era sviluppata successivamente per volere dell’anziano medico che sperava, proprio per questa, venisse identificata dalla polizia.

Proprio per queste ragioni deposta e controfirmata la dichiarazione di colpevolezza fu portata in ospedale sotto scorta, per essere medicata.

La sorella fu incriminata anch’essa per aver partecipato in qualità di basista e di aver guidato in prima persona la moto per fuggire.

La vittima ignara delle due criminali aveva lottato per sfuggire alle Killer e la sua colpa fu quella che essendo sola senza parenti, aveva accettato l’ospitalità dell’amica momentaneamente non presente per rilassarsi dopo un periodo di lavoro intenso.

Le due sorelle a conoscenza dell’arrivo della predestinata loro vittima, conosciuta il mese precedente ad una festa, avevano premeditato di rubarle due grossi anelli di diamanti che portava sempre al dito medio ed anulare.

Le Pichler infatti erano solite frequentare gli ambienti e le feste importanti, per poi intraprendere furti a persone benestanti o facoltose.

Le assassine, decisero così di organizzarsi sapendo che quel giorno, la ragazza era sola; ma non misero in conto che la ragazza si sarebbe difesa strenuamente e in preda ad una smisurata collera condita da sadismo la ragazza venne uccisa.

Presa dal panico Adelina la fautrice dell’efferato delitto la coprì con il velo preso dalla gabbia del canarino e le mise il crocifisso che portava con sé nello zaino frutto anch’esso di un furto precedente, in un atto forse a compassione.

Guarita dall’infezione Adelina con la sorella furono condannate a trent’anni di carcere da scontare presso la Casa di Reclusione di Padova “Due Palazzi”.

Nicoletta Rinaldi

 

 

 

 

 

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